L'energia idroelettrica e la tutela della risorsa
idrica: alcune riflessioni sull'evoluzione legislativa
Italo Rizzi
Dirigente del Settore Risorse Naturali ed Energia della
Provincia di Sondrio
La risorsa idrica nell'arco alpino è pressoché
totalmente utilizzata per la produzione d'energia elettrica.
I grandi impianti, con serbatoi artificiali, forniscono
energia pregiata, di punta, immagazzinano l'energia, preziosa
per la sicurezza dell'approvvigionamento e per la stabilità
delle reti d'interconnessione e distribuzione, ma determinano
molteplici e contraddittori effetti ambientali.
I corsi d'acqua sono stati regolati con opere d'ingegneria
che si accompagnano all'alterazione del paesaggio alpino
e le tragedie impresse nella memoria collettiva continuano
a ricordare il rischio latente, se pur remoto, della catastrofe.
L'attuale rincorsa allo sfruttamento delle residuali disponibilità
è marginale sotto il profilo della produzione,
ma contestualmente eccessivo per l'ambiente, il paesaggio
e la funzione turistico-ricreativa.
Alle cosiddette centraline, che alterano i pochi corsi
d'acqua che ancora conservano un regime naturale, che
o s'incuneano nelle valli principali già ampiamente
sfruttate per derivare l'acqua residuale o che derivano
l'acqua direttamente dagli scarichi delle centrali, si
somma la ripresa dei lavori di completamento e riattivazione
degli impianti concessi da oltre un quarantennio.
Questa situazione è generalmente avversata dalle
istituzioni e popolazioni locali che non accettano la
sproporzione tra danno arrecato e indotto economico.
Siamo di fronte ad una disarmonia tra percezione e volere
della popolazione e degli enti locali, e le leggi, i regolamenti
ed i criteri di valutazione delle domande di concessione.
Il mio contributo, riepilogando alcune delle tappe principali
della legislazione relativa all'uso delle acque, vuole
tratteggiare la conflittualità e la contestuale
ricerca di un equilibrio tra sfruttamento e tutela che,
innestata nel processo di decentramento avviato con la
legge Bassanini, evidenzia la necessità di trasferire
a livello locale il potere decisionale.
Il testo unico delle disposizioni di legge sulle acque
e impianti elettrici, approvato con R.D. 11 dicembre 1933
n. 1775, è improntato sul crescente interesse dello
Stato verso un più ampio sfruttamento della risorsa
idrica.
L'uso è limitato dalla compatibilità con
il buon regime delle acque e altri interessi.
Principio ancora attuale, condivisibile, riscritto anche
nella più recente legislazione che riafferma il
rispetto al preminente buon regime delle acque, ma è
privo di un'articolazione sufficiente per orientare un'oggettiva
valutazione delle domande di derivazione d'acqua.
Lo sfruttamento idroelettrico, iniziato nei primi anni
del XX secolo, prosegue fino agli anni sessanta. La nazionalizzazione
dell'energia e il ricorso ad altre più remunerative
fonti di produzione dell'energia fanno scendere l'interesse
per l'utilizzazione delle risorse idriche.
A seguito della crisi energetica, del decennio 1970 -1980,
si è posta la necessità di rivitalizzare
la produzione d'energia da fonti rinnovabili.
Prima con legge 2 agosto 1975 n. 393, poi con leggi 28
maggio 1982 n. 308 e 7 agosto 1982 n. 529 ed infine con
leggi 9 gennaio 1991 n. 9 e 10, la produzione d'energia
mediante impianti che utilizzano fonti rinnovabili (tra
cui spicca quella idrica) è progressivamente sottratta
alle restrizioni dalla riserva di produzione posta a favore
dell'Enel dalle norme sulla nazionalizzazione Rimangono
soggette a limitazioni lo scambio e la vendita dell'energia
prodotta.
Analogamente a quanto già previsto dall'art. 33
del T.U. per le grandi derivazioni, il provvedimento di
concessione di derivazione d'acqua per la produzione d'energia
elettrica con potenza nominale inferiore a 3.000 kW (le
cosiddette piccole derivazioni), può dichiarare
l'impianto urgente e indifferibile.
Da questo momento la possibilità degli Enti locali,
associazioni e cittadini di tutelare i propri interessi
e contrastare la costruzione degli impianti è alquanto
ridotta.
La definizione di opera pubblica estesa ai piccoli impianti
che producono energia da fonti rinnovabili e il sostegno
economico per lo sfruttamento delle risorse rinnovabili,
tra cui spicca il provvedimento del Comitato Interministeriale
Prezzi (CIP 6/92), innescano un sistematico "assalto"
alla residuale disponibilità dei corsi d'acqua,
solo parzialmente temperato dalle norme di tutela ambientale.
Infatti, dalla seconda metà degli anni '80, una
maggior coscienza ambientale, orientata alla difesa del
suolo ed alla qualità più che alla tutela
del regime idrico, compromesso dall'eccessivo sfruttamento,
porta il legislatore ad emanare, il 18 maggio 1989, la
legge 183.
È introdotta la pianificazione di bacini e il principio
che l'insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo
deflusso costante vitale negli alvei sottesi.
L'anno successivo, la legge 102, finalizzata alla ricostruzione
della Valtellina colpita dall'alluvione nel 1987, riprende
il binomio pianificazione e sfruttamento della risorsa
idrica prescrivendo l'adeguamento degli impianti al deflusso
minimo vitale e vietando fino all'approvazione del Piano
di bacino del Po, il rilascio di nuove concessioni di
grandi derivazioni d'acqua per la produzione di energia
elettrica.
Negli anni novanta si radica il convincimento che formule
sempre più raffinate o approfondimenti progettuali
possano superare la contrapposizione tra sostegno alla
produzione e tutela della risorsa.
Il Comitato Istituzionale dell'Autorità di bacino
del fiume Po, nel 1992, con delibera numero 6, approva
i criteri per l'adeguamento delle concessioni idroelettriche
e le modalità di calcolo del deflusso minimo vitale,
inteso quale contributo per unità di superficie
imbrifera.
La formula Dmin=1,6 x P x A x Q x N, dove P è il
fattore di precipitazione, A di attitudine, Q di qualità
ambientale ed N di naturalità, non ha mai trovato
una completa applicazione in quanto due fattori (attitudine
e qualità) sono, ancora oggi applicati con valore
pari a 1.
Nel 1998, con legge regionale n. 10, è disposta
la temporanea sospensione al rilascio delle concessioni
delle piccole derivazioni con potenza nominale superiore
a 30 kW fino a 3.000 kW, con l'obiettivo di approfondire
la determinazione della portata disponibile nel contesto
dello sfruttamento idroelettrico.
L'anno successivo, con delibera 42446/99 la Regione approva
una direttiva per la valutazione delle piccole derivazioni
d'acqua ad uso idroelettrico che introduce la formula
per il calcolo della portata media annua naturale innalza
a 50 l/s la soglia minima del deflusso minimo vitale da
rilasciare da ogni opera di presa e adegua l'iter istruttorio
alla procedura di valutazione d'impatto ambientale.
I nuovi criteri portano al rigetto di alcune domande.
Alcuni provvedimenti di diniego sono impugnati e il Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche accogliendo i ricorsi
dichiara illegittima l'applicazione della soglia minima
del D.M.V.
Nel 2000, la d.g.r. 42446/99 viene modificata e integrata:
è cancellata la soglia minima del deflusso minimo
vitale e contestualmente viene introdotto un capitolo
dedicato alla tutela delle risorse idriche che prescrive,
a salvaguardia dei piccoli bacini montani, in attesa del
Piano di tutela delle acque una portata minima non derivabile
di 50 l/s.
La soglia minima del D.M.V. o dell'acqua non derivabile
sono elementi innovativi, limitano lo sfruttamento dei
piccoli bacini, ma non contengono il proliferare delle
domande di piccole derivazioni, così come non si
placa il dissenso di cittadini ed istituzioni contro la
richiesta di nuovi sfruttamenti.
Le piccole derivazioni focalizzano l'attenzione e si tende
a rimuovere le problematiche che riguardano le grandi
derivazioni ma, prima con D.Lgs. 79/99, che modifica radicalmente
il mercato dell'energia, poi, con la pubblicazione del
DPCM 24 maggio 2001, che approva il Piano stralcio per
l'assetto idrogeologico del fiume Po (PAI), termina il
divieto di rilascio di nuove concessioni di grandi derivazioni
e si accentua ed amplifica il contrasto tra tutela e sfruttamento.
Con il PAI è introdotto il saldo idrico, inteso
come valore medio annuo della portata presente in alveo
al netto delle portate derivate.
I corsi d'acqua principali sono classificati con quattro
livelli di criticità ed è prescritto che
nei tratti classificati C4 (molto elevata) e C3 (elevata)
non possano essere rilasciate nuove concessioni di grandi
derivazioni mentre, nei tratti C1 (moderata) e C2 (media)
è possibile a condizione che per effetto delle
nuove concessioni non venga superato il valore della classe
C2.
Questo significa che non può essere superata la
portata di durata di 274 giorni nell'anno medio (Q274),
valore, che in funzione della curva di durata della portata
media annua dei corsi d'acqua, oscilla tra il 15% ed il
24 % della portata naturale media annua, raggiungendo
per il fiume l'Adda 46 %.
L'approccio metodologico proposto dall'Autorità
di bacino è interessante, ma la Provincia ha messo
in evidenza che per il calcolo del saldo idrico sono state
utilizzate le portate di concessione, non quelle effettivamente
derivate e, soprattutto, che il piano stralcio, per gli
effetti dell'articolo 8 della legge 102/90, non può
sostituire il piano di bacino.
Con l'approvazione del PAI termina il divieto di rilascio
di nuove concessioni di grandi derivazioni d'acqua per
la produzione di energia elettrica ed emergono non pochi
problemi che vanno, ad esempio, dalla necessità
di aggiornare gli elaborati progettuali allegati alle
domande sospese da oltre un decennio, all'abrogazione
degli istituti previsti dal D.P.R. 342/65, all'efficacia
dei pareri già espressi sulle domande in istruttoria
dal Consiglio Superiore dei LLPP, alla concorrenza tra
piccoli e grandi derivazioni, ai differenti criteri di
valutazione tra piccole e grandi derivazioni.
La Regione che nello stesso periodo ha assunto le funzioni
relative al rilascio di grandi derivazioni ha la necessità
di governare la situazione tecnica amministrativa relativa
alle grandi derivazioni e, contestualmente, dare attuazione
alla legge regionale 1/2000, delegando alla Provincia
le funzioni in materia di uso delle acque per le piccole
derivazioni.
Nel 2002 avvia un confronto con la Provincia di Sondrio
per stabilire procedure e criteri di valutazione coerenti
con i differenti criteri di valutazione delle domande
(gli schemi allegati illustrano l'art. 47 delle norme
d'attuazione del PAI e la correlazione con la normativa
vigente).
L'amministrazione provinciale, constatata l'indisponibilità
della Regione di accogliere la richiesta di sospendere
temporaneamente il rilascio di concessioni di derivazione
per la produzione di energia elettrica ha elaborato, con
gli uffici tecnici della Regione, una direttiva per l'istruttoria
e la valutazione delle domande di grandi e piccole derivazioni
d'acqua ad uso idroelettrico.
In sintesi si prospettava l'estensione del saldo idrico
e relative classi di criticità a grandi e piccole
derivazioni, a tutti i corsi d'acqua, imponendo, a tutte
le opere di presa, la soglia di 50 l/s di acqua non derivabile.
Contraddicendo le aspettative la Regione non ha approvato
la direttiva e nel giugno del 2003 ha proposto altri criteri
di valutazione, fondati su un complesso sistema di calcolo
per l'individuazione dei bacini ad elevato sfruttamento,
di difficile applicazione e di scarsa efficacia per la
tutela dei corsi d'acqua provinciali.
L'intreccio tra piccole e grandi derivazioni, saldo idrico
e deflusso minimo vitale, corsi d'acqua principali e non,
si proiettano sui criteri di regolazione delle portate
in alveo sul piano di tutela delle acque e sulla programmazione
energetica regionale.
Poiché l'uso dell'acqua nelle aree montane è
sinonimo d'energia idroelettrica e le ripetute modifiche
di formule e criteri non riescono a far convergere uso
e tutela è opportuno riflettere sugli obiettivi
della politica energetica inerenti alla produzione di
energia da fonti rinnovabili.
Nel documento d'indirizzo di politica energetica regionale
è rimarcato l'elevato grado di sfruttamento della
risorsa idrica alla luce del quale la realizzazione di
nuovi impianti deve coniugarsi con la tutela della naturalità
dei corsi d'acqua.
Questa consapevolezza è ripresa nel programma energetico
regionale che, però, ipotizza di incrementare la
produzione lombarda d'energia da fonte rinnovabile (circa
700 GWh entro il 2010) senza indicare come fare coesistere
la costruzione di nuovi impianti con la tutela della naturalità
dei corsi d'acqua.
Manca un'efficace strumento di pianificazione e la corsa
ai certificati verdi, che veicola anche la produzione
di energia elettrica da fonti non rinnovabili, è
incentivata ma non è governata e l'obiettivo di
perseguire un uso compatibile della risorsa idrica rimane
a livello di obiettivo.
La ricerca del legislatore nazionale e regionale di introdurre
correttivi a salvaguardia dei corsi d'acqua è approdata
ad una visione settoriale sospinta dalla ricerca di indicatori
e modelli applicabili alla generalità dei casi,
privi di una visione sistemica, incapace di elaborare
i presupposti per l'uso sostenibile della risorsa.
L'equilibrio tra sfruttamento e sviluppo sostenibile può
essere ricomposto solo a livello locale nella ricerca
di rapporto più saldo tra cittadini e istituzioni.
In questa direzione si colloca la proposta di legge "Misure
per la gestione delle risorse idriche nei territori montani"
presentato dal vice presidente della Provincia, onorevole
Gianpietro Scherini.
Il disegno di legge si fonda sulla consapevolezza che
le comunità dei territori montani abbiano un ruolo
insostituibile per la valorizzazione delle risorse idriche
e sappiano orientarne l'utilizzo verso lo sviluppo sostenibile
e non nella direzione di un mero sfruttamento economico.
La peculiarità del territorio montano, in cui l'acqua
nel contesto paesaggistico ambientale rappresenta una
delle principali risorse, deve poter essere gestita in
modo da esaltare e valorizzare le specificità che
rischiano di soccombere sotto il neocentrismo regionale.
Con la gestione della risorsa idrica intendo riferirmi
anche al servizio idrico prospettando, per i territori
montani, il superamento del rigido modello, attualmente
previsto, che mal si adatta alle specificità delle
comunità alpine.
Altra questione che il tempo non mi consente di trattare
è quello già focalizzato dall'amministrazione
provinciale in merito alla corretta gestione degli impianti
esistenti e la corresponsione dei sovracanoni.
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